L’assessore all’Ambiente: “la priorità della bonifica dei siti inquinati è valutata scientificamente”
“La Regione del Veneto mostra una piena e costante attenzione per la salvaguardia e per la salute dell’ambiente e, a provarlo, sono i fatti. Ce lo confermano le alte performance che abbiamo conquistato in materia di raccolta differenziata, tanto che gli elogi per il lavoro che svolgiamo e che abbiamo svolto nella lotta ai rifiuti ci viene riconosciuto a livello nazionale, anche da Legambiente. Ed oggi mettiamo un’altra bandierina significativa per la tutela del nostro territorio: dopo una ricognizione dei siti inquinati presenti, provincia per provincia, ora disponiamo di uno strumento scientifico e oggettivo, grazie alla collaborazione con l’Università di Padova, che ci permetterà di dirci quale tra i siti individuati è più a rischio ambientale e pertanto prioritario per l’intervento di bonifica”.
L’assessore veneto all’Ambiente ha aperto con queste parole la conferenza stampa, tenuta oggi a Palazzo Balbi a Venezia, per spiegare “la collaborazione con l’Università patavina che ha portato alla pesatura di 14 criteri scientifici, secondo una scala gerarchica che tiene conto di una valutazione del rischio ambientale presente nel sito, per sapere quale intervento deve essere finanziato per primo”.
Sono circa 130 i siti inquinati in Veneto nei quali risulta impossibile individuare i soggetti responsabili della contaminazione, e pertanto sono gli enti pubblici, generalmente i Comuni, a dover provvedere alla bonifica, in genere utilizzando risorse statali o regionali.
Il Piano Regionale di Bonifica delle Aree Inquinate è parte integrante del Piano Regionale per la gestione dei Rifiuti, che è stato aggiornato in Veneto nel 2022. Fino a questa data, per quanto riguarda le priorità dei siti inquinati, venivano valutate in passato tramite 11 criteri che si basavano sulle informazioni che ciascun comune forniva alla Regione.
“Si trattava di una valutazione discrezionale – ha spiegato l’assessore regionale – ed era complicato stabilire veramente una priorità di intervento. Tutti i siti risultavano prioritari, tutti praticamente a rischio alto e, in questo modo, era difficile programmare in maniera efficace il lavoro da svolgere per la bonifica”.
“Con l’aggiornamento del Piano – ha proseguito l’assessore all’Ambiente – si è ritenuto opportuno rivedere e ottimizzare i parametri di valutazione degli 11 criteri sulla base dell’esperienza maturata nel corso della loro applicazione nel periodo 2015-2020. Contestualmente si è provveduto all’integrazione dell’elenco con nuovi criteri che tengono conto di ulteriori aspetti, come per esempio l’urgenza (dell’intervento), lo stato procedimentale (dare la precedenza a quei siti su cui si è intervenuti e manca poco per la bonifica), l’indifferibilità/cantierabilità degli interventi di bonifica (dare la precedenza dove c’è già uno studio eseguito, un progetto approvato o una gara espletata) e l’utilizzo del sito/restituzione agli usi legittimi (dare la precedenza dove il sito ha già un futuro, ad esempio destinato a diventare un parco)”.
“Grazie all’attività svolta dall’Università di Padova, – ha aggiunto l’assessore – è stato possibile sia attribuire uno specifico peso a ciascuno dei 14 nuovi criteri di priorità sia attribuire un peso oggettivo ai parametri di valutazione utilizzati per definire ciascuno di questi criteri. In questo modo la Regione si è dotata di modalità oggettive e non discrezionali per la valutazione della gravità della contaminazione presente nei siti regionali in modo da rendere più trasparente la concessione dei contributi che, via via, si renderanno disponibili”.
Il modello è stato sviluppato e validato all’interno di un tavolo di lavoro a cui hanno partecipato anche gli esperti di Arpav (presente in conferenza il Direttore Generale) e della Regione Veneto e gli e stakeholder come le Ulss, i Comuni e le Province: ciascuno ha fornito il proprio contributo sui pesi da attribuire ai vari elementi di valutazione sulla base dell’esperienza acquisita.
In particolare è stato utilizzato un modello gerarchico di tipo assoluto, fondato sull’Analytic Hierarchy Process (AHP), una tecnica sviluppata negli anni Settanta del secolo scorso dal matematico Thomas L. Saaty, che ha consentito di stabilire un ordinamento in termini di priorità di intervento dei siti da bonificare rispetto a un numero finito di attributi (criteri, sotto-criteri o rating), determinando l’importanza relativa degli attributi, ovvero il peso degli attributi, attraverso l’utilizzo della tecnica del confronto a coppie. Il problema decisionale complesso viene dapprima scomposto in sub-problemi decisionali secondo una struttura gerarchica e analizzato nelle singole componenti. I risultati vengono successivamente aggregati secondo un principio di composizione gerarchica per fornire una valutazione di tipo sintetico. Una volta strutturata la gerarchia e raccolti i dati di supporto alla valutazione, ovvero i dati di input del modello, è possibile ordinare i siti secondo un ordine di priorità di intervento rispetto a un numero finito di criteri, ovvero rispetto al numero di criteri individuati come fondamentali per risolvere il problema decisionale.
“L’AHP – ha sottolineato la Professoressa Ordinaria dell’Università degli Studi di Padova (Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale, ICEA) – è una tecnica multicriteri consolidata e ampiamente utilizzata per affrontare decisioni complesse, perché consente di tradurre in termini quantitativi valutazioni di tipo qualitativo, per assegnare i pesi in modo trasparente. Il modello di valutazione e i pesi sono stati validati attraverso sessioni di brainstorming e discussione dinamica con gli esperti e gli stakeholder. Questo processo partecipativo ha portato alla co-costruzione e alla condivisione del modello di valutazione con esperti, stakeholder e policy maker favorendo la creazione di consenso rispetto al processo decisionale e al sistema di pesi globali da utilizzare nella determinazione del ranking dei siti iscritti all’anagrafe dei siti contaminati”.