La nota Università di Harvard, negli Stati Uniti, nella sua rivista scientifica Harvard Business Review, nei giorni scorsi si è soffermata sulle misure italiane per contrastare il coronavirus.
Secondo l’analisi di tale rivista scientifica, pur con l’attenuante che alcuni sviluppi “non potevano essere sotto il pieno controllo della politica”, il governo nazionale ha compiuto diversi errori nelle azioni contrasto alla diffusione del virus, in particolare “nel riconoscere l’entità della minaccia rappresentata da Covid-19, nell’organizzare una risposta sistematica e nell’apprendere cosa fare dopo i primi riscontri positivi ma anche i primi fallimenti”.
La rivista parla apertamente per l’Italia di “un fallimento sistematico nell’assorbire e agire rapidamente ed efficacemente in base alle informazioni esistenti”, anche perché essendo già noto quanto successo in Cina non c’era “una completa mancanza di conoscenza di ciò che doveva essere fatto”.
Nello studio però si evidenzia che a livello territoriale ci sono amministrazioni che si sono mosse in maniera più efficace. In particolare si evidenziano le scelte vincenti del nostro Veneto, che “ha adottato un approccio molto più proattivo al contenimento del virus” attraverso:
🔴“Test approfonditi su casi sintomatici e asintomatici precoci”;
🔴“Tracciamento proattivo di potenziali positivi. Se qualcuno è risultato positivo, sono stati testati tutti nella casa di quel paziente e anche i suoi vicini. Se i kit di test non erano disponibili, erano auto-messi in quarantena”;
🔴“Una forte enfasi sulla diagnosi e l’assistenza domiciliare. Ove possibile, i campioni sono stati raccolti direttamente dalla casa di un paziente e quindi elaborati nei laboratori universitari regionali e locali”;
🔴“Sforzi specifici per monitorare e proteggere l’assistenza sanitaria e altri lavoratori essenziali. Includevano professionisti del settore medico, quelli in contatto con popolazioni a rischio (ad es. operatori sanitari nelle case di cura) e lavoratori esposti al pubblico (ad es. cassieri di supermercati, farmacisti e personale dei servizi di protezione)”.