Sulla questione dei PFAS la Regione Veneto è stata la prima ad attivarsi per risolvere un problema che ha coinvolto diversi altri territori, diventando oggi un riferimento nazionale ed internazionale, spesso sostituendosi allo Stato sulla definizione dei limiti per acque potabili e scarichi industriali.
COSA SONO I PFAS
Con l’acronimo PFAS (sostanze perfluoroalchiliche) si intende una famiglia di composti chimici costituiti da catene di atomi di carbonio a lunghezza variabile (da 4 a 12 nella fattispecie), lineari o ramificate, in cui atomi di fluoro sono legati direttamente alla catena carboniosa. Si tratta di contaminanti emergenti che hanno assunto negli ultimi anni un interesse crescente da parte della comunità scientifica internazionale per la loro persistenza ambientale, per essere bioaccumulabili, per le loro caratteristiche tossicodinamiche e tossicocinetiche e una distribuzione globale.
LA SCOPERTA DEL PROBLEMA DOPO LE INDAGINI
Il Consiglio Nazionale della Ricerca – Istituto di Ricerca sulle Acque (CNR – IRSA), in accordo con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM), ha effettuato, tra il 2011 e il 2013, una campagna di misura di sostanze chimiche contaminanti rare sui principali bacini fluviali italiani. Le indagini hanno evidenziato un inquinamento diffuso di sostanze perfluoro-alchiliche a concentrazione variabile in diversi Comuni della provincia di Vicenza e nelle zone limitrofe delle province di Padova e Verona. La preoccupante presenza di tali sostanze era emersa, dopo lo studio, non solo in Veneto, ma anche in Piemonte, Emilia, Toscana, Lazio e Lombardia.
L’IMMEDIATO INTERVENTO DELLA REGIONE VENETO, UNICA REGIONE D’ITALIA AD ESSERSI DA SUBITO ATTIVATA.
In seguito alle informazioni apprese nel maggio 2013 dalla relazione dell’Istituto di Ricerca sulle Acque del CNR, le Strutture della Regione Veneto competenti in materia di Tutela dell’Ambiente e in materia di Sanità hanno immediatamente attivato un tavolo di confronto con tutti i soggetti aventi competenza sulla distribuzione delle acque potabili e sulla tutela della salute. Come spiega l’assessore all’Ambiente Gianpaolo Bottacin “pur essendoci stato comunicato da fonti romane nel 2013 che non vi fosse pericolo immediato per la popolazione, come Regione ci siamo subito attivati e da allora abbiamo fatto molti passi avanti ponendo, in mancanza di intervento statale, dei limiti sia sulle acque potabili, fino ad arrivare ai valori più restrettivi a livello mondiale, sia sugli scarichi industriali, ma anche facendo delle indagini per rilevare la presenza nel sangue di valori PFAS”.
GLI INTERVENTI DELLA REGIONE
In particolare, sono state individuate la fonte principale di inquinamento e l’area contaminata, ed è stata imposta agli approvvigionamenti idropotabili pubblici l’installazione di filtri a carboni attivi per ridurre la concentrazione delle sostanze PFAS. Inoltre l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente (ARPAV) ha provveduto ad avviare una capillare campagna di analisi in merito alla concentrazione dei composti PFAS per conoscere meglio il fenomeno di inquinamento. In particolare ARPAV ha provveduto ad individuare la fonte di pressione principale dell’inquinamento, identificandola a Trissino (VI).
I LIMITI ALLO SCARICO PREVISTI DALLA REGIONE IN ASSENZA DI INTERVENTO STATALE
Relativamente alla definizione dei limiti allo scarico, pur in assenza di specifici provvedimenti ministeriali, la Regione Veneto, con diversi Decreti (del Dirigente della Direzione Difesa del Suolo n. 501 del 27.12.2017, n. 101 del 07.03.2017, e con precedenti Decreti del Direttore della Sezione Tutela Ambiente n. 37 del 29/06/2016 e del Direttore dell’Area Sviluppo e Territorio n. 5 del 22.07.2016), ha provveduto ad imporre specifici limiti alle sostanze con riguardo allo scarico del collettore del Consorzio A.Ri.C.A., che raccoglie i reflui depurati dei cinque depuratori della Valle del Chiampo (Arzignano, Montebello V.no. Montecchio Maggiore, Lonigo e Trissino)
LA REALIZZAZIONE DELLA NUOVA RETE ACQUEDOTTISTICA
La Regione Veneto si è immediatamente attivata anche nella programmazione di nuovi acquedotti che permettano di portare definitivamente acqua di buona qualità nelle zone colpite, prelevandola da aree regionali incontaminate e sicure. E’ stata quindi avviata la fase progettuale di tali opere promuovendo il coordinamento fra Enti d’Ambito e Gestori del servizio idrico interessati ed individuando, con la loro collaborazione, l’insieme degli interventi necessari a dare le massime garanzie sulla qualità delle acque destinate al consumo umano. La Regione Veneto ha quindi presentato al Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del Mare un piano di interventi prioritari per un importo complessivo di 120,8 milioni di di euro. Inoltre la Regione ha contestualmente inoltrato al Dipartimento nazionale per la Protezione Civile la richiesta di emanazione dello stato di emergenza ai sensi dell’art. 5 Legge 225/1992, individuando tra gli interventi prioritari di cui sopra, un elenco di “interventi emergenziali”, di importo complessivamente stimato in 56 milioni di euro. “Quella sugli acquedotti è comunque solo una delle azioni che abbiamo previsto sia nel campo del monitoraggio degli effetti dei PFAS, sia della bonifica e della progettazione e realizzazione di nuove fonti e per le quali abbiamo già finora impegnato oltre 15 milioni di euro”.
LA DICHIARAZIONE DELLO STATO D’EMERGENZA E LA NOMINA DEL COMMISSARIO
Il 21 marzo 2018 è stato dichiarato lo stato di emergenza da parte del Consiglio dei Ministri, su sollecitazione della Regione, mentre a fine maggio, con ordinanza del Capo del Dipartimento nazionale della protezione civile, il direttore generale di ARPAV, Nicola Dell’Acqua, è stata nominato commissario delegato per le problematiche connesse alla contaminazione da sostanze perfluoro-alchiliche (Pfas) nelle falde idriche delle province di Vicenza, Verona e Padova. Un passaggio importante che è stato così commentato da Bottacin: “con lo stato di emergenza e la nomina del commissario si potranno completare gli interventi previsti con la pianificazione di nuovi acquedotti per affrontare l’inquinamento da PFAS in Veneto in tempi più ridotti rispetto al regime ordinario, arrivando alla definitiva soluzione del problema”. Avendo infatti il commissario la possibilità di emettere anche delle ordinanze si potranno accelerare le procedure e conseguentemente gli interventi necessari per riportare il tutto in condizione di assoluta normalità.
L’OTTIMIZZAZIONE DEI COSTI
La normativa nazionale impone che tutti gli investimenti relativi al servizio idrico integrato, come gli acquedotti, siano necessariamente cofinanziati dai consigli di bacino con le tariffe. Grazie invece agli interventi della Regione e al pressing sul governo, che tramite il Ministero ha confermato l’arrivo di 80 milioni di euro per rispondere a questa problematica, il costo della realizzazione dei nuovi acquedotti per l’emergenza PFAS non saranno interamente a carico dei cittadini come invece accade per i normali acquedotti. “Resta però inteso che vale il principio del chi inquina paga e quindi al termine del procedimento relativo al danno ambientale, la Regione, che si è già costituita, chiederà i danni ai responsabili” non ha mancato di sottolineare in diverse occasioni Bottacin.
VENETO PRESO A MODELLO DA ALTRE REGIONI D’ITALIA
A cinque anni dalla segnalazione del problema PFAS le agenzie per la protezione ambientale delle altre Regioni hanno chiesto aiuto al Veneto. La Toscana ha iniziato a campionare le sue acque nel 2018, riconoscendo tramite il proprio sito di Arpat che «ad oggi non esiste, né nella normativa europea né nella normativa nazionale, un limite per questa categoria di sostanze per le acque potabili, se escludiamo quanto previsto dalla Regione Veneto”. Sempre dal sito dell’Agenzia Toscana si legge inoltre che “la Giunta regionale del Veneto, in attesa che si pronuncino l’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS) e l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), ha emanato delle delibere (DGRV n. 1590 del 3/10/2017 e DGRV n. 1591 del 3/10/2017) per regolamentare la presenza, nelle acque destinate al consumo, delle due sostanze più pericolose: PFOS+PFOA non potranno superare i 90 ng/L (nanogrammi per litro), di cui PFOS non superiore a 30 ng/L, mentre per gli altri PFAS è stato previsto un limite cumulativo di 300 ng/L”.
TRA GLI ULTIMI INTERVENTI IL POTENZIAMENTO DEI FILTRI DELLA CENTRALE IDRICA DI LONIGO, ORA ALL’AVANGUARDIA A LIVELLO EUROPEO
La centrale di produzione idrica di Madonna di Lonigo (Vicenza), gestita dalla società Acque Veronesi, che provvede all’approvvigionamento idrico di comuni delle province di Vicenza, Verona e Padova, ha potenziato il processo di trattamento dell’acqua potabile con ulteriori dieici filtri carbone attivo (GAC), che vanno ad aggiungersi ai cinque filtri rapidi a sabbia (potenzialità 500 l/s) e ai dieci filtri GAC già attivi per l’abbattimento dei composti PFAS. L’operazione da poco completata è stata presentata il 21 maggio nel corso di un sopralluogo dell’assessore regionale all’ambiente Gianpaolo Bottacin. Il costo dell’intervento di potenziamento, i cui lavori ora conclusi erano stati appaltati a novembre, ammonta a 1.800.000 euro, di cui 930.000 di finanziamento regionale. Grazie a quest’ultimo intervento le azioni di filtraggio risultano ora le più avanzate a livello europeo.
LO STATO DI FATTO
A cinque anni dalla scoperta della contaminazione, mentre nella cosidetta “zona rossa” è da mesi garantita la totale assenza di PFAS nell’acqua potabile, le indagini ambientali per la delimitazione definitiva dell’inquinamento sono tutt’ora in corso. L’area d’indagine si è estesa a più di 700 km2 nella bassa pianura tra le province di Vicenza, Verona e Padova.
Si illustrano di seguito gli interventi acquedottistici utili alla sostituzione delle fonti idropotabili di Lonigo, Brendola e Sarego, contaminate da PFAS, che sono stati segnalati al Ministero dell’Ambiente e al Dipartimento della Protezione Civile nell’ambito delle procedure per la dichiarazione dello stato di emergenza.
Gli “interventi complessivi” proposti dai Consigli di Bacino e dai relativi Gestori ammontano a 208 milioni di euro, come risulta dalla relazione generale di Veneto Acque (Rev. ottobre 2017). Essi risultano coerenti con la programmazione regionale di cui al Modello Strutturale degli Acquedotti del Veneto (MOSAV), avente l’obiettivo di coordinare le azioni delle otto Autorità d’ambito istituite con la legge regionale L.R. 5/1998.In particolare perseguono l’obiettivo di fornire l’importante centro acquedottistico di Lonigo (VI) attraverso le seguenti tre direttrici principali di intervento, promuovendo fattivamente la pluralità delle risorse idropotabili coinvolte e l’interconnessione tra i più importanti centri acquedottistici presenti nella fascia pedemontana veneta:
direttrice Est – Ovest con risorsa idrica da addurre dalla disponibilità del prelievo di competenza regionale in Comune di Carmignano di Brenta (Loc. Camazzole), ovvero da altri prelievi disponibili, per consegnarla, mediante la realizzazione di una nuova condotta adduttrice, alla centrale idrica di Madonna di Lonigo in sostituzione dell’utilizzo della risorsa proveniente dal campo pozzi di Almisano;
direttrice Sud – Nord con risorsa idrica da addurre da risorse provenienti dalle disponibilità presenti e programmate, sia mediante realizzazione di nuovi tratti di condotte adduttrici, sia mediante l’utilizzo di infrastrutture già presenti sul territorio, atte ad interconnettere la rete di distribuzione esistente rifornita dal campo pozzi di Almisano;
direttrice Ovest – Est, con risorsa idrica da addurre da nuovi prelievi, mediante la realizzazione di una nuova condotta adduttrice fino alla centrale idrica di Madonna di Lonigo.
Le opere così individuate non solo consentono la risoluzione delle problematiche derivanti dalla contaminazione delle risorse di Lonigo, Sarego e Brendola ma consentono di chiudere un secondo anello del Modello strutturale degli acquedotti del Veneto e di estendere lo stesso verso il territorio veronese, per il reperimento delle risorse di cui alla direttrice “Ovest-est”. In relazione all’opportunità di individuare un insieme di opere che raggiungesse comunque l’obiettivo di completo ripristino in sicurezza della risorsa idropotabile presso i nodi idraulici di Lonigo (VI), Sarego (VI) e Brendola (VI), attualmente interessati dal fenomeno di contaminazione da PFAS, ma che nel contempo fosse più concretamente realizzabile in termini economici si è ritenuto di indentificare, tra le opere precedentemente indicate, i cd “interventi prioritari” (già anche indicati come interventi di priorità 1) rispondenti ai seguenti criteri generali: essere coerenti con le linee programmatiche di livello regionale; consentire di sostituire le attuali fonti di approvvigionamento con altre non contaminate; poter essere progressivamente attivati in relazione alle fasi realizzative; garantire una fornitura di acqua ridondante sia in quantità che in punti di prelievo in modo da poter sopperire ad eventuali fallanze del sistema.
Gli interventi prioritari, dell’importo complessivo di 120,8 milioni di euro, e determinati grazie al coordinamento svolto da Veneto Acque di cui alla DGR 385/2017, consentono la sostituzione della risorsa idropotabile sempre dalle tre direttrici sopra menzionate e precisamente prevedono l’utilizzo di centri di captazione, con le seguenti caratteristiche: pozzi esistenti e concessionati aventi capacità superiori all’attuale fabbisogno e quindi aventi risorsa in esubero da veicolare verso Lonigo; pozzi da realizzare ex novo per poter fruire appieno della concessione di derivazione già in essere e/o da concessionare.
I centri di captazione individuati per la sostituzione delle risorse idropotabili contaminate sono i seguenti: campo pozzi di Camazzole di Carmignano di Brenta (PD) di prossimo avvio – Veneto acque; campo pozzi di Camazzole di Fontaniva (PD) esistente – Etra/Acquevenete; centrale esistente Moracchino di Vicenza – Viacqua; centrale esistente Bertesina di Vicenza – Viacqua; ampliamento e adeguamento campo pozzi di Caldogno (VI) – AcegasApsAmga.